Quest’opera di misericordia è una delle più difficili da praticare, giacché il carcere non è un ambiente aperto e accessibile a chiunque. Le leggi e i regolamenti consentono visite esclusivamente a persone autorizzate e a volontari preparati. L’opera di misericordia è comprensibile e attuale se si considera il problema del carcere nel suo insieme e nei riflessi che produce. Anzitutto il carcerato è un uomo che soffre, perché privato della libertà, perché si sente causa di altre sofferenze, perché si sente emarginato e condannato ancora prima della sentenza definitiva. Finché sta in carcere è sempre possibile tenere con lui un rapporto epistolare: è una strada per impedire che la violenza del contesto carcerario lo faccia disperare. Forse l’aiuto maggiore può essere offerto al termine della pena: un aiuto fatto di vicinanza, di sostegno nel reinserimento lavorativo, nel recupero di relazioni più o meno compromesse. Più grave, in alcuni casi, è la situazione della famiglia. Il coniuge deve portare il peso della solitudine e dell’umiliazione e spesso deve affrontare seri problemi finanziari. I bambini, vittime innocenti, talvolta leggono sul volto del coetaneo lo scherno e il disprezzo; rischiano di veder segnata la loro fanciullezza e adolescenza da un marchio: sono i figli del carcerato. La pietà cristiana può fare molto: educare la comunità ad evitare assurde condanne e a porsi, invece, in atteggiamento di accoglienza e di solidarietà.
Un ringraziamento va alla Misericodia di Campi Bisenzio e al coordinatore generale Giovanni D’Andrea che ci ha concesso l’uso delle tavole delle opere di misericordia, per la descrione nel Presepe delle Opere di Misericordia realizzato dai nostri volontari nel Natale 2017, le opere sono state realizzate da Simonetta Fontani per la Misericordia di Campi Bisenzio.